lunedì 2 marzo 2015

Ragazzo, non sposare una scimmia. Ha brutti piedi.

Jailhouse rock - Elvis Presley

Per la rubrica “E’ il mio blog, scrivo quello che mi pare” oggi parliamo di arti inferiori. Inferiori solo per posizione, non di certo per importanza. Anzi, circoscriviamo: piedi e caviglie. Senza scadere nel feeticismo -non è un errore di battitura-.
Raramente in casa indosso le calze, e la maggior parte della gente inorridisce quando lo viene a sapere, del tipo che se non portassi le mutande uscendo con la gonna sarebbe meno grave.“Ma sei matta?? Ma come faaaai?! Ma poi ti ammali!” seguite da altre frasi simili, tutte con un ‘ma’ all’inizio. Sarò ingenua io, che credo che le ciabatte siano sufficienti a proteggermi adeguatamente tra le mura domestiche.
Il mondo intorno a me si spacca in due su questo argomento quando si porta il dibattito all’esterno delle abitazioni, in strada: chi le calze le porta, e ne va fiero, e chi evidentemente ha caldo anche a 10 gradi sotto zero e ne fa a meno, andandone comunque fiero.
Per tutto l'inverno ho avuto davanti ragazze a caviglie scoperte. Mentre io rabbrividivo con i più antiestetici calzettoni di lana c’era chi aveva almeno 5 cm di pelle nuda tra la scarpa e l’orlo dei pantaloni. Per mesi mi sono interrogata sul perché di questa presa di posizione così autolesionista da parte delle giovani milanesi, e l’unica spiegazione che sono riuscita a darmi è che volessero dimostrare di essere depilate anche in pieno inverno, attirando così a sé qualche aitante maschio non ancora in letargo.
Il discorso non si limita all’universo femminile, ahimè. Ho visto anche molte caviglie maschili, cerettate e non, fare capolino da scarpe di pelle. Qui il mistero è presto svelato: la moda degli hipster non si è ancora estinta.
Dall’altro lato ci sono i fanatici delle calze, quelli che portano i pantaloni “alla zumpafossi” proprio per fartele vedere. Oggi in treno ho trovato un ragazzo con calze in vista fino a pochissimo sotto il ginocchio, a strisce colorate. Scelta discutibile? Forse, ma almeno metteva allegria. Percentualmente gli appartenenti a questa categoria tendono ad avere calze scure, come se fossero un po’ indecisi sul da farsi.
C’è anche chi non vuole rinunciare a nulla, e adotta entrambe le mode. Sono testimone oculare di una coppia, ragazzo e ragazza, con scarpe da tennis, calzina nera fino a poco sopra la caviglia, pelle di polpaccio scoperta, e jeans. Ho visto cose che voi umani…
Ad ogni modo, che ognuno si vesta come cavolo gli pare. Continuo a pensare che nel mondo ideale di Tarantino le calze e le scarpe probabilmente non esisterebbero proprio.


mercoledì 14 gennaio 2015

Note di merito, note di demerito

Ovvero cose che ho visto recentemente. In un arco di tempo di poche settimane mi è capitato di imbattermi in una cosa così brutta e in una cosa così bella che non ho potuto trattenermi dallo scrivere qualcosa a riguardo.

Cominciamo con le note positive.



Fargo
Serie tv che consta di 10 episodi di circa 50 minuti l’uno, andato in onda tra Aprile e Giugno del 2014 sull’emittente televisiva statunitense FX. Si ispira all’omonimo film del ‘96 dei fratelli Coen, insignito di ben 2 premi oscar e numerose nomination.
Ammetto di non aver mai visto il film, perciò non ho potuto cogliere nessuno dei riferimenti che disseminano la serie. Chiaramente questa lacuna verrà prontamente colmata.
La Trama in breve: la tranquilla località di Bemidji, in Minnesota, è teatro in poco di tempo di un’escalation di violenza. Tra spietati sicari e frustrati assicuratori alcuni poliziotti di buona volontà tentano di sciogliere i nodi che l’apparizione di un killer senza scrupoli ha creato.
Che dire, una vera bomba. Partiamo dalla premessa che non ci sono episodi filler: ogni puntata è necessaria alla continuazione della trama, anzi delle trame. Le storie dei personaggi si intrecciano e talvolta collidono in un equilibrato alternarsi di quotidianità e straordinarietà. Ottima la gestione dei momenti di tensione e l’uso di alcuni piani sequenza.
I personaggi sono ben strutturati, e nonostante bene e male siano chiaramente polarizzati in alcune figure, non si riesce a pensarli come piatti o scontati. Assolutamente credibili per quanto cinematografici, funzionano anche grazie ad una recitazione esemplare. (Tra tutti non posso non citare l’ottimo Martin Freeman, nella sua interpretazione più complessa e meglio riuscita, a mio parere.)
Piacevole serie invernale, a dispetto del fatto che sia andata in onda originariamente in primavera, forse a causa del paesaggio nevoso che domina la serie e che è in un certo senso un personaggio di per sé.
Anche la colonna sonora, solennemente strumentale, calza a pennello.
Ovviamente la perfezione non è di questo mondo, perciò diciamo che alcuni effetti speciali avrebbero dovuto essere curati un po’ di più. Alcuni episodi risultano leggermente lenti in alcuni punti, anche se ciò non è necessariamente un difetto.
Tirando le somme: è stata una piacevolissima scoperta telefilmistica, capace di rapirmi dal pilot e di tenermi agganciata fino alla fine. Non scontato, ripieno di humour nero, con un Breaking Bad vibe irresistibile. Consigliato a chiunque.

Ed ora le note negative.



Domino
Film del 2005 diretto da Tony Scott e scritto da Richard Kelly, basato sulla vera storia di Domino Harvey, una giovane inglese diventata cacciatrice di teste.
La Trama in breve: Domino Harvey, cacciatrice di teste, si trova in un ufficio dell’FBI per il furto di 10 milioni di dollari. Attraverso flashback scopriamo come sia passata dal fare la modella a inseguire i criminali più pericolosi di Los Angeles, conosciamo i suoi compagni di avventura, e seguiamo il disastroso piano che l’ha condotta, ferita ma spavalda, al confronto con l’FBI.
O almeno, ci proviamo. Sì perché la trama, già poco dopo l’inizio del film, inizia a complicarsi. Vengono aggiunti elementi che intricano inutilmente la storia, con molte comparse, legami improbabili e frequenti interruzioni sulla china di “sarebbe successo questo, ma invece è successo quest’altro”.
Per le 2 lunghissime ore che compongono la pellicola i nostri occhi vengono bombardati da immagini traballanti, colori guizzanti, sfasature tipiche dello stile alla Lucignolo, in cui tutto sembra visto attraverso gli occhi di qualcuno sotto effetto di lsd.
I personaggi sono alquanto bidimensionali, e questo forse ne giustifica le reazioni insensate. Ma sono pure stupidi. (Spoiler: avete appena rapito, torturato e mutilato -erroneamente- un ragazzo. Lo riconsegnate alla madre, che per 10 minuti di film avete tenuto sotto tiro coi fucili. Prima di andarvene le chiedete di farvi un caffè. E poi lo bevete. Bravi, bella pensata.)
Giusto perché non ci si deve far mancare nulla il regista pensa di infilare dentro alla storia l’apparizione di un santone, la torre panoramica più alta di tutti gli USA, una storia d’amore nata dal nulla, la mafia, due attori di Beverly Hills 90210 che interpretano sé stessi, il costoso sistema sanitario americano, il corrotto sistema della motorizzazione americano, e il seno di Keira Knightley.
Il film cerca di redimersi infilando una morale nel finale, ma non ce la fa.
L’unica cosa che ho trovato carina è stato il fatto di far passare, come titoli di coda, solo i nomi degli attori, senza cognome.
Tirando le somme: Boh ragazzi, era proprio brutto. Sono andata a dormire col mal di testa. L’intento era chiaramente quello di fare un film d’azione che però avesse la marcia in più del piano ben congeniato da film poliziesco, forse anche con una velata critica all’odierna società dei media, ma per quanto mi riguarda ha toppato in pieno. Ci sono film brutti più belli di questo.


Queste sono le mie opinioni, e ci tengo a precisare che si basano sulla mia conoscenza praticamente inesistente di cinematografia. Pareri di una semplice spettatrice, insomma. Guardate e giudicate, gente!
P.s: niente musica in questo post. Protesto così per il malfunzionamento delle casse del computer. 

venerdì 1 agosto 2014

sabato 10 maggio 2014

La valigia è pronta

Don't stop believin' - The journey


Ormai lo sanno i miei parenti, i miei amici, gli amici di famiglia, i colleghi di lavoro dei miei, il farmacista da cui ieri abbiamo comprato dei fermenti lattici che non riuscirò mai ad ingurgitare e probabilmente tutto il paese dove abita mio nonno perché lui è mezzo sordo e ieri abbiamo parlato in giardino: tra meno di 24 ore sarò su un aereo pieno di cinesi che mi porterà a Shanghai.
Ho il passaporto, il visto, il biglietto aereo e il mio tablet Giulio. Sono pronta.
In realtà psicologicamente credo di no, per ora la vivo ancora come se stesse per partire qualcuno che non sono io, vivo nell’inconsapevolezza. Neanche i numerosi saluti che ho protratto negli ultimi 15 giorni sono stati particolarmente efficaci in questo senso. Finora quello più toccante è stato con la nonna Bambina, la mia nonnina materna, che aveva tutti gli occhi lucidi e li ha fatti venire anche a me. Dev’essere strano per una persona il cui viaggio più lungo è stato puglia-milano veder andare dall’altra parte del mondo la propria nipotina.
Finora le raccomandazioni più gettonare sono state “stai attenta, non uscire di casa, non andare in giro da sola, non uscire con chi non conosci, non fidarti della gente, c’è la criminalità, è pericoloso!” tra gli ultracinquantenni e “divertiti, devastati, fatti chiunque, fai miliardi di foto, scrivici, sperimenta!” tra i coetanei. In pratica per qualcuno vado a partecipare alle rivolte ucraine, per qualcun altro a spaccarmi di rave a Ibiza. La verità, come sempre, sta nel mezzo. Certo, la cosiddetta “Perla d’Oriente” potrà anche non essere la città più sicura dell’universo (ma se è per questo non lo è neanche Milano, e men che meno il mio paesello di provincia), ma non credo sarebbe intelligente non sfruttare appieno un’esperienza del genere. Perciò avanti tutta, sono pronta ad accogliere qualsiasi sfida!
Tra l’altro spero davvero di diventare una persona più attiva,ormai le mie smagliature assomigliano troppo alle pieghe del copridivano. Ho portato dei pantaloncini corti, si sa mai che l’aria incredibilmente inquinata di Shanghai mi faccia venire voglia di rifugiarmi in un parco a sgambettare.
Pooooi voglio mangiare tutto il possibile! Se trovassi le cavallette potrei anche assaggiarle, devono essere belle croccanti. Poi dopo la caramella al durian, voglio dire…
E voglio migliorare -o anche solo riportarlo al livello a cui era quando ho finito l’università, sarebbe già un traguardo- il mio cinese. Per un mese avrò a che fare con bimbi piccoli, magari mi ritrovo con un’attitudine spettacolare all’insegnamento ai bambini e scopro che è quello che voglio fare nella vita. O, come tutti gli italiani che emigrano all’estero, aprirò un ristorante italiano. Chissà chissà chissà, il futuro è misterioso e criptico, e io sono molto miope.
Beh basta, non credo di avere altro da dire. Mi hanno consigliato di tenere un diario di questa esperienza, e l’idea mi stuzzica. Blogger è bloccato in Cina (evviva la censura!), quindi dovrei ritornare agli albori della creatività con carta e penna. Penso che un tentativo lo farò, sperando di non cambiare idea appena il mio polso minaccerà di spezzarsi. Così almeno non dovrò stare a raccontare il viaggio ad ogni singolo cristiano che mi chiederà “com’è andata?”, basterebbe ficcargli in mano il diario e poi darmela a gambe.
Quindi forse vi aggiornerò sulla mia avventura fra due mesi, o forse no. Intanto buon proseguimento di vita a tutti!

sabato 5 aprile 2014

And I always thought I'd be the first to go

History of a boring town – Less than jake

Mi sono lasciata scivolare Marzo tra le dita, senza scrivere una riga. A volte mi piace trattenere parole e pensieri nella testa, cosa che non farà mai di me una valida scrittrice. Il mio desiderio di condividere si ferma quando mi trovo faccia a faccia con la necessari età della parola scritta. Sarà il classico shock da pagina bianca, ma più realisticamente è perché quando accendo il computer trovo qualcosa di meglio da fare. Cosa che non farà mai di me una valida scrittrice.
Recentemente mi sono ritrovata a pensare a cosa voglio fare da grande più intensamente e preoccupatamente che mai. Avevo dei progetti che mi avrebbero aiutato a prendere tempo per cercare di capirlo, ma sono crollati miseramente. Non era un sogno, un’idea, ma un progetto ben più concreto e realizzabile, anzi diciamo pure che ormai davo per scontato che ad Agosto avrei dovuto cominciare a salutare tutti i miei amici perchè poi non li avrei potuti rivedere per almeno 6 mesi. Purtroppo il destino (e quella stronza della mia ex prof di cinese che non ci ha avvisato che avremmo dovuto rifare una certificazione perché quella dell’anno scorso non valeva più) hanno deciso diversamente, ed ora eccomi qui ad interrogarmi sul mio futuro. Dovrei cercarmi un lavoro? Iscrivermi ad una magistrale? Trasferirmi in qualche paese straniero a cercare fortuna?
Questa incredibile voglia di viaggiare non ha fatto altro che rafforzarsi negli ultimi mesi, quando la prospettiva di una lunga esperienza all’estero sembrava la naturale continuazione del mio percorso di studi. Ora, se tutto va bene, potrei andare 2 mesi a Shanghai a Maggio. È l’unico piano rimasto che ho, e che ad un mese dalla partenza effettiva non so ancora se sarà realizzabile. Vorrei essere ottimista, ma la delusione troppo recente della borsa di studio un po’ mi frena: ha davvero senso investire tutte le proprie energie in un progetto che potrebbe polverizzarsi riportandomi al punto -interrogativo- di partenza?
Nonostante ciò, comunque, mi rendo conto che lasciarsi sopraffare dagli eventi sarebbe una cosa stupida. Di opportunità di partire ce ne sono, e io sono disposta ad impegnarmi  per cercarle. Una delle poche cose in cui credo è che se vuoi veramente qualcosa, e la vuoi tanto tanto tanto, troverai il modo per ottenerla. E poi, che cavolo, ho già avuto una buona dose di sfortune in questo senso, prima o poi il karma girerà! Ci vorrà più tempo del previsto, ma l’importante è farcela prima che entrambi i miei genitori vadano in pensione, sennò sarò costretta a trasferirmi da mio fratello per scampare ad un esaurimento nervoso.
Ogni tanto ci vuole un post così, automotivante. Una pacca sulla spalla. Poco interessante per i lettori. Noioso e banale. Forse è questo che non farà mai di me una valida scrittrice, ma in fondo è un bene perché è un campo molto difficile in cui sfondare!


venerdì 28 febbraio 2014

Sono in shock da fine di Breaking Bad

Baby blue - Badfinger
C'è poco da dire. Anzi, in realtà ci sarebbe fin troppo da dire, ma al momento faccio fatica a formulare pensieri. Mi asciugo gli occhi ringraziando che non ci sia nessuno in casa.


sabato 8 febbraio 2014

Fiaba moderna


Ehy, non scrivo sul blog dall’anno scorso! Questa potrebbe essere una delle mie famose battute-da-nuovo-anno (sapete no, quelle che si fanno nei primi giorni di gennaio, che non fanno ridere nessuno?) se solo non fossimo già a febbraio. Perché questo lungo periodo di silenzio? Lasciate che vi racconti una bella fiaba, bambini miei.

C’era una volta una bimba riccioluta che amava passare il tempo col suo portatile, Piccì. In realtà all’inizio c’era stato un po’ d’attrito tra i due, poiché la bimba era molto poco dotata nel campo della tecnologia e non riusciva proprio a raccapezzarsi con Windows 8. Dopo un po’ però aveva iniziato a conoscere quel leggero rettangolo nero, e addirittura ad apprezzarlo, in particolar modo dopo aver scoperto quanto fosse utile per vedere film e telefilm. L’idillio sembrava destinato a durare per sempre, ma purtroppo così non fu. Un brutto giorno di metà dicembre Piccì cominciò a non sopportare più di stare sulle gambe della bambina, e cominciò a manifestare il suo disappunto spegnendosi lo schermo. Lei provò a parlarci, a farlo ragionare, ma non ci fu verso. Così per un po’ tenne Piccì sulla scrivania, sperando di farlo contento.
Pochi giorni dopo Natale però la situazione degenerò: anche a stare sulla sua amata scrivania Piccì rimaneva buio. Bisognava fare qualcosa. Così il padre della bimba lo portò a riparare, subito dopo la festa della Befana. “Allora? Sai qualcosa del computer?” chiedeva la piccola nei giorni seguenti al suo papà, e lui rispondeva sempre: “Ancora niente, mi chiameranno quando sapranno qualcosa.”. Finalmente dopo una settimana scoprirono che andava spedito alla casa madre di costruzione. “Non so quanto tempo ci vorrà per ripararlo, sarà meglio che tu metta in conto di rimanere senza portatile per un po’”, le disse il padre. Pur con rammarico -soprattutto per le 5 stagioni di Breaking Bad lì pronte per la maratona- la bimba dovette accettare la cosa e adattarsi.
Passarono le settimane, e la bambina sentiva la mancanza del suo amico Piccì. Il vecchio computer fisso era troppo lento e si spegneva da solo quando gli pareva a lui, per qualche oscura ragione Whatsapp sul suo cellulare non si aggiornava, e i suoi amici il più delle volte si dimenticavano che la tecnologia a sua disposizione era limitata e si offendevano se non rispondeva ai messaggi su Facebook. (Per inciso, non è che gliene freghi più di tanto di facebook e whatsapp, perché è sempre stata un po’ asociale. È solo che ‘sta benedetta bambina sta cercando di partire per la Cina per fare qualcosa della sua vita, e senza un computer per cercare ed eventualmente chiedere informazioni e tenersi in contatto con le associazioni è dura. E poi non può sempre contare sulla sua vicina di casa per non rimanere indietro con How i met your mother. Fine inciso.)
Dopo un mese di attesa la bimba si fece coraggio e chiese di nuovo “ Allora papà? Sai qualcosa del computer?”. Allorchè l’uomo, imbarazzato, le rispose “Non l’ho ancora spedito.”. Si scoprì così che si era completamente dimenticato di inviarlo alla casa madre per la riparazione.
Il lunedì della settimana successiva il padre fece finalmente ciò che avrebbe dovuto fare  30 giorni prima, e il giovedì della stessa settimana Piccì tornò a casa, accolto a braccia aperte dalla bambina.



Cosa ci insegna questo racconto? Che se vuoi una cosa è meglio fartela da te? Oppure che siamo troppo dipendenti dalla tecnologia? O che Windows 8 è utilizzabile? Come sempre, ai posteri l’ardua sentenza.